Un monito per i giornalisti, ma anche per i cittadini ai quali l’informazione si rivolge. Lo ha sottolineato il Presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli, che ha voluto ospitare nella sala “Ocera” a Roma la presentazione del libro “Con i piedi in guerra” (Edigrafema edizioni) della giornalista Antonella Ciervo. Il testo raccoglie interviste a diversi giornalisti italiani impegnati nei conflitti in corso, i quali raccontano il loro universo professionale, ma anche il rapporto con la paura e il ritorno a casa dopo lunghi periodi a contatto con la sofferenza umana e le macerie.

“Il ruolo dell’informazione – ha proseguito Bartoli – resta fondamentale, nonostante oggi si tenda spesso a parlare di giornalismo per innescare polemiche”. Soffermandosi sul ruolo degli inviati di guerra, il Presidente ha segnalato alcuni temi fondamentali che caratterizzano la professione come, in particolare, i costi sempre più alti delle assicurazioni che devono stipulare i giornalisti e che si abbattono soprattutto sui freelance. Un problema, questo, che va affrontato il prima possibile.

Sul valore della verità si è concentrato l’intervento di Gianluca Bruno, giornalista e direttore della collana ‘dietroFont’ della casa editrice di Matera. “La verità in guerra è sempre la prima vittima – ha detto – perché i Paesi in conflitto utilizzano l’informazione per raggiungere obiettivi militari tentando di conquistare al contempo il consenso dell’opinione pubblica; e quando questo diventa difficile, assistiamo a episodi come quello avvenuto nei giorni scorsi in Israele dove, in nome della sicurezza nazionale, una legge speciale vorrebbe impedire alle testate giornalistiche, in questo caso l’obiettivo è oscurare Al Jazeera, di fare il proprio lavoro. Tutto questo è assurdo perché è solo grazie all’impegno e al sacrificio dei giornalisti se, anche nella storia recente, abbiamo potuto conoscere fatti di interesse pubblico, come testimoniano le esperienze di Julian Assange e Wikileaks, o ancora l’inchiesta di Sigfrido Ranucci che nel 2004 mostrò al mondo l’uso di armi chimiche anche sui civili nella città irachena di Fallujah, tra cui fosforo bianco e sostanze simili al napalm, da parte delle forze militari statunitensi”.

La presentazione, moderata dalla giornalista dell’Ansa Laura Masiello, ha più volte richiamato il peso sociale che l’informazione svolge in periodi della storia particolari come quello che stiamo vivendo e in scenari del tutto unici come sono le guerre. In queste realtà, è emerso nel corso dell’incontro, raccontare e descrivere cosa accade diventa sempre più difficile, pericoloso ma al tempo stesso necessario per fare in modo che non cada mai il silenzio.

E dalle pagine del libro sono emerse parole-chiave, un decalogo, come ha sottolineato il giornalista ed esperto di comunicazione Sergio Talamo che ha descritto “Con i piedi in guerra” attraverso concetti ispirati dai pensieri dei protagonisti intervistati da Ciervo, consigliando la lettura dell’opera anche nelle scuole: “Perché chi racconta queste vicende fa scuola di coraggio e di umanità”. In un vero e proprio itinerario sociologico ed emotivo, Talamo ha percorso un tracciato che, nome dopo nome e vicenda dopo vicenda, ha passato in rassegna elementi come il senso dell’ingiustizia, la verità. “I vecchi decidono la guerra ma sono i giovani che la fanno” ha sottolineato ancora, riprendendo altri passaggi del libro. “Obiettivo dei militari è dimenticare di essere uomini per poter fare cose che altrimenti non sarebbero concepibili dalla loro psiche. C’è poi un altro modo di vedere: è vero che più il combattente combatte e più diventa inumano? Nasce così un rapporto biunivoco con il giornalista che racconta?” si è chiesto. Inviati di guerra non si nasce e dunque la preparazione è fondamentale, ha proseguito Talamo. Sul rapporto con la paura, il giornalista ha citato ancora tanti passaggi del lavoro di Ciervo e la necessità di fare i conti con questa emozione, centrale per chi svolge questa professione. Il ritorno a casa, inoltre, è un momento che ognuno di loro è chiamato ad affrontare e che non bisogna lasciare sedimentare. “Un jet lag dell’anima” lo ha definito Talamo che infine ha parlato del fallimento dell’Occidente nell’approccio al mondo nel corso degli ultimi 30 anni, degli errori della pace perché la guerra non finisce quando si pensa sia finita”.

Diretto e molto forte l’intervento di Asmae Dachan, una delle protagoniste del libro, freelance italo-siriana che ha ricordato la sua prima volta in guerra in Siria, Paese di origine della sua famiglia. “Con la consapevolezza di essere una giornalista libera, italiana e al tempo stesso di essere figlia di una nazione che sta vivendo l’esperienza più dolorosa della sua storia, come giornalista freelance mi sono dovuta organizzare da sola e non è stato semplice. Nessuno fa una scelta di questo tipo – ha ricordato – se non è profondamente innamorato di questo mestiere, della ricerca della verità”. Nel corso della sua testimonianza, Dachan ha ricordato il giornalista Amedeo Ricucci e i suoi fondamentali consigli, tra cui quello di ricordarsi sempre di scegliere quale punto di vista si vuole raccontare. Dare voce non a chi decide la guerra ma a chi la subisce. “Il mio racconto della guerra – ha riferito – è stato fatto fra i medici, gli ospedali da campo, fra chi si muove fra gli sfollati e le macerie, dove era necessario andare a soccorrere la popolazione. Nessuno di noi è mai stato testimone di guerra, ha visto un bombardamento, cosa succede dopo un crollo, cosa accade a chi rimane o a chi rimarrà disperso per sempre. In guerra si assiste a tutto questo. C’è una parte della narrazione di guerra difficile da raccontare sia per chi è testimone che per coloro che leggeranno. Il nostro compito, come cronisti specializzati in determinate aree, è quello di tenere sempre i riflettori accesi, perché le sofferenze dei civili continuano. La guerra va oltre la guerra – ha proseguito – muove fenomeni come le migrazioni di massa di cui bisogna parlare comprendendone le cause per fare in modo che ai lettori i temi esteri siano sempre più chiari”.