La mano invisibile non esiste. Le multinazionali che licenziano dall’oggi al domani, invece, sono una drammatica realtà.

Quella mano invisibile che avrebbe dovuto regolare il libero mercato e a cui faceva riferimento Adam Smith non esiste. Il mercato libero e globale nel quale operano gli attori economici non conosce provvidenze. L’unico dio a cui si rimette è il profitto per il profitto, con buona pace dei lavoratori, della solidarietà e dell’impresa olivettiana.

Quanto succede a Tito scalo, con la chiusura improvvisa dell’azienda Favorit, è figlio di un’economia capitalistica malata che chiude non perché sia in perdita, ma perché vuole massimizzare i profitti, aumentare gli utili e forse pagare sempre meno la manodopera.

Ed è così che il marchio leader in Italia per la produzione di articoli di fascia

medio-alta —  non in concorrenza con quelli asiatici (che si collocano, invece, nella gamma medio-bassa del mercato) — come cartelline, astucci, raccoglitori e valigette, destinati a grandi clienti italiani come Buffetti, Coop e Amazon, nel pieno della produzione annuncia alle lavoratrici e ai lavoratori il licenziamento in tronco.

La tragica notizia che investe quaranta famiglie, perlopiù monoreddito, diventa addirittura grottesca e beffarda se pensiamo che giunge ai lavoratori mentre gli stessi, in Spagna, venivano insigniti del premio “Best Technical Solution Favorit Golden”.

Dunque, ricevuto il premio per aver elaborato un protocollo di sicurezza in seguito a un infortunio, ricevuto il premio di produttività per il 2023 e mentre l’azienda ha registrato un fatturato di circa 21 milioni di euro, con un utile netto di oltre 715.000 euro, le lavoratrici e i lavoratori vengono licenziati con giustificazioni evidentemente fantasiose, che farebbero riferimento a una riduzione dei volumi.

Se anche i volumi fossero ridotti, i profitti però segnano una crescita (+51,93% rispetto al 2020): quindi perché lasciare per strada quaranta famiglie?

Evidentemente perché il capitale deve alimentarsi sempre di più per pochi e affamare i molti. Così, il gruppo francese, dopo aver beneficiato degli investimenti regionali per l’acquisto di alcune macchine, chiude bottega e decide di accorpare la produzione italiana in Francia e di delocalizzare in Turchia. Decisione che pare risalire a cinque anni fa: naturalmente, pur avendo usufruito degli investimenti pubblici, dei corpi e del lavoro dei nostri operai, il gruppo francese, mentre pianificava la propria strategia industriale, non ha mai pensato di coinvolgere la Regione Basilicata. Si è presentato soltanto ora per l’ultimo saluto. Ma così non deve e non può finire.

Sul punto, a livello nazionale, è già intervenuto il deputato Lomuti, chiedendo ai ministri interessati quali azioni intendessero intraprendere per tutelare il marchio Made in Italy (a cui dovrebbero tenere, tanto da avergli dedicato un ministero, seppure utilizzando un anglicismo stonato). Se questo Made in Italy ha valore, come è, che il governo italiano si faccia sentire e apra un’interlocuzione con i vicini francesi. Se l’Europa è una, come proviamo a dire da tempo, allora le regole del mercato devono essere condivise, eque e leali: non possiamo consentire che all’interno della stessa casa, l’Europa, i Paesi giochino con regole diverse e alimentino il fenomeno del dumping. Il mercato europeo (e magari quello internazionale) va assolutamente regolamentato. Su questo, piuttosto che su una improduttiva autonomia differenziata, il governo dovrebbe ripiegarsi.

In attesa che qualcuno si accorga della morbosità di questa economia liberista e della necessità di un maggiore intervento dello Stato in fatto di politiche economiche, i poveri lavoratori lucani rischiano di rimetterci il lavoro: da Favorit a Stellantis.

Non resteremo a guardare, come M5s abbiamo garantito piena solidarietà e sostegno alle lavoratrici e ai lavoratori.

Le macchine dello stabilimento Favorit devono restare a Tito Scalo. O si garantisce il lavoro o in questa regione, da qui a dieci anni, rimarranno solo pale eoliche, pannelli fotovoltaici, giacimenti petroliferi (forse dismessi) e tutti i sacrifici di una comunità, quella lucana, che ha sempre dato e che, probabilmente, ora deve chiedere e ottenere.

Alessia Araneo, Viviana Verri (Consigliere regionali M5S Basilicata)