DALLA NOSTRA INVIATA A SANREMO – Un immenso Giovanni Allevi, emozionato ed emozionante, compare sul palco dell’Ariston accompagnato da un lunghissimo e fragoroso applauso. Sorridente e con lo sguardo basso di chi deve fare i conti con la timidezza e l’imbarazzo della “prima volta”, il maestro Allevi, lascia spazio a Giovanni, un ragazzo apparentemente fragile che vuole raccontare la sua esperienza per renderla non pubblica, bensì riconoscibile.
Si imbarazza quando dal pubblico qualcuno gli strilla “sei grande!” e dopo aver ringraziato, comincia il suo racconto, straziante, evidentemente doloroso, eppure mai alla ricerca di compassione. Trema, Giovanni, tremano le sue mani a causa della malattia che lo ha colpito e, probabilmente anche a causa dell’emozione perché non è facile mettersi a nudo, raccontare, dopo due anni di silenzio verbale e musicale, quello che gli sta accadendo.
Con la commozione nella voce e nelle parole, comincia a raccontarsi “nel mio ultimo concerto a Vienna, il dolore alla schiena era talmente forte che sull’applauso finale non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello e non sapevo ancora di essere malato. Poi è arrivata la diagnosi pesantissima. Ho perso molto, il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze ma non la speranza e la voglia di immaginare”.
L’Ariston è silente, sicuramente pervaso da tutte le emozioni possibili perché il racconto si fa struggente e proprio quando si pensa di dover ascoltare il peggio ecco che Giovanni cede il posto al Maestro e non il Maestro che compone musica ma un enorme ed ineguagliabile Maestro di Vita.
Allevi racconta che attraversare il dolore gli ha permesso di ricevere tre doni.
Il primo dono è l’aver capito che i numeri non contano nulla, lui che si preoccupava di eventuali posti vacanti ai suoi concerti, oggi sarebbe onorato di suonare davanti a quindici persone, come nei concerti dei suoi esordi. E poi conclude dicendo “ogni individuo è unico e irripetibile e, a suo modo, infinito”.
Il secondo dono è la gratitudine verso la bellezza del creato, lui che dall’ospedale ha visto mille albe e mille tramonti grazie ai quali ha notato la differenza tra il rosso dell’alba e il rosso del tramonto. La gratitudine e la riconoscenza verso il personale ospedaliero e la scienza, gratitudine verso la sua famiglia. E poi la riconoscenza verso gli altri pazienti che lui chiama “guerrieri”, la riconoscenza verso i loro famigliari. Qui Allevi si interrompe un attimo, respira e commosso ricorda i genitori dei “piccoli guerrieri” che sono anime splendenti, ed esempio di vita autentica. Fa una pausa e poi apre le braccia come a volerli prendere tutti tra le sue mani, quelle mani dalle dita lunghe e affusolate ed esclama “come promesso vi ho portato tutti qui sul palco” e chiede un applauso per loro.
Infine parla dell’ultimo dono, mostrandosi ancora più forte: riconosce che il giudizio esterno non conta più nulla quando tutto attorno crolla e per dare maggiore enfasi a quello che dice decide di togliersi il cappello che da tempo portava con sé, come una coperta di Linus che lo proteggeva dal giudizio, appunto. Getta via il copricapo scuotendo tra le mani la sua folta e “nuova” capigliatura. Lui che aveva fatto dei suoi ricci voluminosi e neri, il suo marchio di fabbrica. Poi, dopo aver mostrato con orgoglio i ricci ingrigiti dice “Ah, com’è liberatorio essere se stessi!”
Infine, dopo aver accolto con gli occhi e con il sorriso gli applausi del pubblico, si dirige verso il prolungamento del suo corpo, il pianoforte, per suonare, nonostante i suoi enormi limiti fisici, la sua nuova composizione che si intitola “Tomorrow” – “Domani”, perché vuole dare forza e speranza a chi sta ancora lottando. E conclude dicendo “Non potendo più contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima”.
A noi non resta che dire GRAZIE al Maestro Giovanni Allevi che ha impreziosito le vite di ognuno di noi, regalandoci la sua esperienza di vita carica di amore, emozioni e speranza.
Silvia Trupo