E’ vero, i due mesi di lockdown e la paura della morte, legata al Corinavirus, ci hanno proprio cambiato. Siamo tutti uniti, ci vogliamo bene, non esiste più l’odio e cantare dai balconi di casa propria, all’unisono, che andrà tutto bene, ci ha reso persone migliori.
Peccato che questo bellissimo sogno sia durato poco, molto poco, il tempo di risvegliare rabbia e frustrazioni legate ad una notizia che, invece di suscitare felicità condivisa, ha solo rimesso in gioco la cattiveria che sui social impazzava prima del Covid 19: il ritorno in Italia di Silvia Romano
Com’è possibile così tanto livore nei confronti di una giovane donna che è stata rapita per 18 mesi? Possibile che un vestito, che nasconde un corpo ed un volto completamente trasformati dopo più di un anno e mezzo di prigionia, abbia il potere di far vomitare veleno su di una vita ritrovata? “Impiccatela”, scrive su Facebook, sulla foto della giovane donna, Nico Basso, consigliere comunale di Asolo e, sotto il post, al via altrettanto orribili commenti ed insulti rivolti allo stesso soggetto. Questo non è un evento isolato, purtroppo.
Ieri, 11 maggio, giorno in cui la giovane è arrivata in Italia, tutti si aspettavano da lei un comportamento diverso, un vestito diverso, una faccia diversa, una pancia diversa, un atteggiamento diverso. Ci si aspettavano parole d’odio verso i suoi rapitori, sorrisoni e abbracci verso chi l’ha salvata e lacrime amare verso la stampa che era pronta ad accogliere ogni particolare “piccante” o terrificanti che riguardasse i suoi aguzzini. Ci si aspettava di vederla scendere dall’aereo di Stato che l’ha riportata a casa, in jeans e maglietta, magari con la scritta “I love Italy” e al collo o tra le mani la coroncina del Rosario oppure una collanina con la croce.
Insomma Silvia ha deluso le aspettative di tutti quei benpensanti che, visto che è stato pagato un riscatto con “i nostri soldi” per liberarla, volevano ricevere un grazie potente e sonoro
Nessun però, si è chiesto come mai questa ragazza sia ritornata così in Italia, perché ha uno sguardo vitreo, dice di stare bene fisicamente e mentalmente, quando basterebbe guardarla bene in viso e negli occhi per rendersi conto che non è così. E’ ovvio che Silvia abbia subito una violenza, che se davvero non è stata fisica, come lei racconta, è stata psicologica. Perché non occorre essere violentate fisicamente per sentirsi stuprate nell’animo. Quello che Silvia ha vissuto l’ha cambiata per sempre e se non ha voglia di raccontare al mondo intero la verità di quei 18 mesi, non possiamo e non dobbiamo fargliene una colpa. Se è tronata a casa non più da cristiana ma da musulmana, bisognerebbe capire il perché di questa “strana scelta”, piuttosto che giudicarla e condannarla anche perché, così facendo, corriamo il rischio di farle più male di quanto già non ne abbia vissuto.
Silvia Trupo