L’investitura di Angelo Chiorazzo, imprenditore di Senise con contratti da decine di milioni in appalti con la Regione Basilicata, da parte della cosiddetta “lista dei vescovi”, denominazione smentita solo timidamente una volta ma poi lasciata correre dagli stessi alti prelati lucani, in prima linea da mesi nell’agone politico, svela anche la non novità del soggetto politico che nasce da un “laicato cattolico” che alla fine si é piegato alla logica di sempre: “chi ha i mezzi decide i fini” o un più rapido “follow the money”.
Ci sta.

Il patrimonio di Chiorazzo é multimilionario, buon per lui, ha da dieci anni appalti con la Regione Basilicata, insomma rispetto a lui gli altri competitors nella lista dei vescovi erano leggerini, nonostante le dichiarazioni del povero Lorenzo Bochicchio, liquidato con uno scarno comunicato stampa (chissà chi cura la comunicazione della lista dei vescovi…).
Insomma, Angelo Chiorazzo é stato nominato, come non si sa, in base a quali logiche, boh, ma d’altronde la democrazia interna non é di casa in Vaticano e il conclave é la modalità di elezione più opaca che ci sia.

Ma qui più che Dio ha pesato Mammona, ma per chi conosce il ruolo della chiesa lucana nella politica locale, non è purtroppo una novità.

Resta il quesito di fondo, agitato da tanti nel Centrosinistra: i lucani voteranno un imprenditore che ha appalti milionari da un decennio con la Regione? E il conflitto di interesse su cui sono nate le fortune del M5S e la rendita di posizione del Pd? In Basilicata non vale.

Ma grazie a Dio si voti si contano e si pesano. Non si comprano.

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