“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”
Introduco questo importante dibattito, che vede la presenza di prestigiosi ospiti, partendo proprio dall’articolo 32 della Costituzione e da come, nel nostro Paese e nella nostra regione, viene applicato il principio costituzionale che definisce l’accesso alle cure come un diritto inalienabile per la vita e come viene, o, per meglio dire, come dovrebbe essere garantito in modo egualitario e universale sull’intero territorio nazionale, senza essere scambiato per una merce soggetta a valutazioni economiche figlia di una pseudocultura dei servizi che deprime i diritti di cittadinanza invece che renderli effettivi.
La Legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale ne ha definito gli obiettivi e gli aspetti organizzativi declinando concretamente i principi di universalità, uguaglianza ed equità sanciti in modo sintetico e puntuale all’art. 1.
Pertanto, il Servizio Sanitario Nazionale deve, attraverso le risorse finanziarie pubbliche, garantire i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché’ dell’economicità nell’impiego delle risorse.
Nel corso degli anni, la società è profondamente cambiata, sia nella struttura demografica, sia nei suoi fabbisogni sociali e sanitari, ed è emersa una forte richiesta di cure e salute sempre più qualificata e territorializzata.
Non da ultimo poi, dopo il tragico evento pandemico da COVID-19, il nostro Paese, anche grazie all’Unione Europea, ha avviato importanti investimenti (Piano Nazionale di Ripresa e resilienza – PNRR, Next Generation EU, Piano nazionale per gli investimenti complementari) per rilanciare l’economia con un approccio green e con l’obiettivo principale di rendere il Paese più coeso territorialmente, con un mercato del lavoro più dinamico e senza discriminazioni di genere e generazionali, e una sanità pubblica più moderna e vicina alle persone.
La medicina di prossimità. Concetti che, con il Decreto 77/2022 vengono meglio precisati allorquando si è definito il nuovo modello organizzativo per l’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento, in un luogo fisico e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale.
In Italia, la spesa sanitaria in rapporto al PIL si attesta in media sul 6,9% nel quinquennio 2018-2022, a confronto di una media europea dell’8,1%.
In particolare, nel 2019 tale rapporto è stato pari al 6,4%, a fronte di paesi come Germania che destina il 9,9% del PIL al finanziamento della spesa sanitaria pubblica; la Francia il 9,3%; il Regno Unito l’8% (dati OCSE).
Nell’anno 2021 il finanziamento ordinario del SSN in rapporto al PIL è stato pari al 6,9% Nel 2022 la spesa sanitaria pubblica si è attestata a 131 miliardi (6,8% del PIL), la spesa a carico dei cittadini a circa 39 miliardi (2% del PIL).
I confronti internazionali evidenziano, nel 2020, che la spesa sanitaria dell’Italia, a parità di potere d’acquisto, si è mantenuta significativamente più bassa della media Ue-27, sia in termini di valore pro capite (2.609 euro contro 3.269 euro) che in rapporto al PIL (9,6% vs 10,9%).
Il nostro Paese, si colloca al tredicesimo posto della graduatoria dei Paesi Ue per la spesa pro capite, sotto Repubblica Ceca e Malta e molto distante da Francia (3.807 euro pro capite) e Germania (4.831 euro), mentre la Spagna presenta un valore di poco inferiore a quello dell’Italia (2.588 euro).
In ultimo, la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza approvata dal governo Meloni qualche giorno fa, prevede una diminuzione delle risorse per la sanità, con un taglio da 134,7 a 132,9 miliardi. In preoccupante controtendenza con quanto fatto dagli ultimi Governi, grazie all’impegno dell’allora Ministro Speranza.
Appare evidente quindi, come il livello di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale non è adeguato a consentire la sostenibilità della programmazione sanitaria anche alla luce dei maggiori costi emergenti: energetici, inflattivi e contrattuali.
E mentre 1 italiano su 5 rinuncia a curarsi, loro pensano che tagliare le risorse sia la soluzione!
A tal proposito, sulla scorta di quanto hanno fatto in altre regioni, ho presentato una Progetto di Legge di iniziativa regionale, da proporre alle Camere, così come previsto dall’art.121 della Costituzione, che intende incrementare, a decorrere dall’anno 2023, il finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard, su base annua dell’0,21% del Prodotto interno nominale italiano per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027 fino a raggiungere una percentuale di finanziamento annuale non inferiore allo 7,5% del Prodotto interno lordo nominale tendenziale dell’anno di riferimento.
In questo contesto, il Mezzogiorno vive una situazione alquanto complessa. In termini generali, il divario nei servizi è dovuto soprattutto a una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda diritti fondamentali di cittadinanza: in termini di sicurezza, adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura. In prima fila però il divario sanitario.
Tra liste d’attesa infinite e Lea non garantiti il 70% dei cittadini del Sud è insoddisfatto dell’assistenza sanitaria. Con gli abitanti del Mezzogiorno che sono costretti a emigrare nelle strutture ospedaliere del Centro-Nord per curare patologie gravi o per interventi chirurgici.
Nel Mezzogiorno permane infatti, una diffusa “emigrazione sanitaria”: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni (6,2% nel CentroNord). In oltre 1 Provincia su 5 (21,1%; 7,2% nel Centro-Nord) tale mobilità sanitaria è molto intensa.
Oramai la mobilità sanitaria è un fenomeno gigante, dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi disuguaglianze nell’offerta dei servizi sanitari tra le varie regione e, soprattutto, tra il Nord ed il Sud del paese. Ed, in termini di costi, le ricadute non sono solo per le regioni, ma, anche sui cittadini, in quanto tra costi di trasferta, di permanenza e di cura, la possibilità di curarsi diventa un lusso, che, in tanti non possono permettersi.
Sembra proprio che di fronte alla salute non siamo tutti uguali.
E non aspettiamoci miracoli dal PNRR. Infatti, i 18,2 miliardi portati in dote per creare nuovi ospedali, case di comunità, sistemi digitali di medicina territoriale a domicilio e ammodernamento tecnologico si ridimensionano quando si considera che per far funzionare le nuove strutture servono tra i 30 ed i 100 mila infermieri, con un costo tra i 3 ed i 7 miliardi di euro.
Soldi e personale che, come abbiamo visto, non sono stati preventivati.
Insomma, più l’emigrazione verso le tre ricche Regioni del Nord aumenta, più il sistema sanitario meridionale va in crisi. I debiti accumulati dalle Regioni meridionali e gli infiniti piani di rientro con i tagli a posti letto e ospedali, sono lì a testimoniarlo. Lo Stato centrale dovrebbe colmare questi divari e, invece, si va avanti con l’autonomia.
La Basilicata non fa eccezione. Anzi.
L’andamento della spesa per la migrazione sanitaria, vale a dire il saldo tra mobilità attiva e passiva, in Basilicata è cresciuta a dismisura passando da -42 milioni del 2020 ai -69 mln del 2022.
Ciò segnala una evidente sfiducia dei cittadini lucani nella sanità di Basilicata, frutto di scellerate scelte compiute in questi anni.
La spesa sanitaria fuori regione pesa su ogni cittadino della Basilicata circa 125 euro ad abitante, secondi solo alla Calabria alla quale ci stiamo avvicinando paurosamente, e a gran lunga distanza dalle altre regioni del Sud che segnano una spesa pro capite all’incirca di 45 euro per abitante.
La principale causa di tutto questo risiede nell’aver voluto attuare uno spoil system senza scrupoli del management della sanità, ricorrendo ad amministratori/fenomeni di fuori regione selezionati dal Presidente Bardi per ingraziarsi le benevolenze di amici di partito a Roma, riducendo così la sanità lucana a quello che vediamo.
Esempio concreto è dato dall’Ospedale Madonna delle Grazie di Matera che dall’essere punto di riferimento per l’intera area murgiana, segnando dati di migrazione positiva, ovvero, da fuori venivano da noi per curarsi, oggi assistiamo ad una migrazione incredibile verso strutture sanitarie pugliesi e del nord.
Più in generale, lo stato comatoso in cui versa la sanità lucana rappresenta l’indicatore più evidente delle politiche fallimentari del Governo regionale.
In primis, l’assenza del Piano Sanitario Regionale, condanna il Servizio sanitario regionale alla confusione e alla approssimazione. Siamo a fine legislatura, e oltre allo stanco e ripetitivo clichè dello scaricabarile su chi ha governato prima di loro, non sono stati in grado di proporre alcuna soluzione a problemi che , nel frattempo, si sono ulteriormente aggravati.
E, purtroppo, l’elenco è piuttosto lungo:
1. le infinite liste di attesa;
2. la caduta della reputazione delle nostre strutture sanitare;
3. la fuga del personale medico verso altri ospedali, con la conseguente scopertura di posti di numerosi reparti, in particolare a Matera;
4. i conti in rosso, in quanto a parità di spese ma con minori prestazioni effettuate, inevitabilmente i bilanci vanno in crisi ( per esempio l’ASM);
5. l’Assistenza Domiciliare Integrata che coinvolge centinaia di lavoratori e assistiti costantemente in bilico senza un perché;
6. il continuo ricambio del management delle due Aziende sanitarie ed ospedaliere che genera assenza di governance e scadente organizzazione dei servizi;
7. i servizi territoriali per la salute carenti e le attività dei Piani Sociali di Zona senza copertura finanziaria, come ben sanno i Sindaci presenti;
8. l’eccellente CROB di Rionero, commissariato (dalla DG dell’Azienda Sanitaria di Matera) che, nonostante il generoso impegno dei medici e del personale ausiliario, vive una indecorosa stagione di abbandono;
9. la lacunosa programmazione in materia di RSA per anziani e non autosufficienti;
10. fino all’ultimo esempio di malgoverno della sanità in Basilicata che riguarda l’annosa vertenza delle strutture private accreditate che in Basilicata rappresentano poco meno del 3% della spesa sanitaria complessiva e potevano e dovevano essere d’ausilio al miglioramento delle prestazioni. In più di un anno il Presidente Bardi e l’Assessore al ramo non sono stati in grado di risolvere nemmeno l’ordinaria amministrazione.
Potrei continuare, ma credo che, quanto detto, abbia delineato come in questi anni il centrodestra lucano si sia appropriato della sanità senza governarla. Una bramosìa di potere di cacicchi locali che hanno fatto di tutto per accaparrarsi punti di potere a scapito dell’interesse generale del diritto alle cure dei cittadini.
Sulla Missione 6 del PNRR poi, siamo in forte ritardo. Approvata senza discuterla, prevede la realizzazione di 5 Ospedali di comunità, 17 Case di Comunità e 6 Centrali Operative Territoriali, e, sia chiaro, gli interventi vanno salvaguardati, monitorati e attuati senza ulteriori lentezze e tutelando la comunità regionale nel suo insieme.
Lo scenario che ho cercato di rappresentare, assume tinte ancora più fosche se lo si inquadra nella sciagurata cornice rappresentata dalla proposta di Autonomia Diffenziata. In quanto senza la prioritaria definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni e dei servizi, da garantire in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, e, con l’applicazione del criterio della spesa storica, sarà inevitabile determinare una spaccatura tra regioni ricche e regioni povere con il rischio di creare venti Sistemi Sanitari Regionali diseguali, favorendo gli egoismi territoriali e mettendo a rischio la coesione territoriale del Paese.
Anche su questo tema “i nostri eroi” non hanno voluto sentire ragioni. E nonostante la contrarietà di tutti i settori economici e sociali della Basilicata, hanno condiviso il progetto Calderoli, schierandosi contro i Lucani e contro il Sud.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio di saluto al Festival delle regioni ha sottolineato che il Servizio sanitario nazionale “è un patrimonio prezioso da difendere e adeguare”.
Il Partito Democratico, insieme alle organizzazioni sindacali, alle forze civiche e sociali è pronto a fare la sua parte per difendere una conquista che ha reso l’Italia più giusta e più solidale.
Roberto Cifarelli
consigliere regionale e capogruppo Pd