Si è tenuto lo scorso 9 maggio il Convegno “Ci vuole un fiore … Sos – tenere oltre la prestazione” di Caritas Diocesana di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo a Tito (Potenza) presso il centro Pastorale Caritas. Dopo la preghiera, la moderatrice Angela Maria Salvatore ha introdotto per i saluti iniziali il sindaco di Tito, Graziano Scavone, che ha sottolineato l’importanza della Caritas per il supporto ai meno abbienti ma anche per l’azione legante sul tessuto sociale dei territori. Successivamente l’intervento dell’assessore all’urbanistica di Potenza, Antonio Vigilante, che ha ribadito quanto il know how appreso durante il suo volontariato presso la Caritas abbia influito sulla presentazione di un progetto per il PNRR riguardo la cultura del mangiare bene in ambito assistenziale. Ha preso poi la parola Marina Buoncristiano, direttore della Caritas Diocesana di Potenza – Muro Lucano e Marsico Nuovo, che ha toccato alcuni concetti poi ripresi dagli altri relatori. Il filo conduttore dell’incontro: un fiore di cui ammiriamo petali e profumo ma che si sostiene grazie al suo stelo, metafore della società, della vita e della Caritas. Sottolineando il lavoro svolto che ha portato in 7 anni da 10 a 30 le Caritas parrocchiali, non semplici magazzini o punti di ascolto ma piccoli fari sul territorio. Salienti, e in seguito condivisi i concetti del lavorare con i poveri e non per i poveri; il povero al centro della discussione non in quanto povero ma come uomo portatore di esperienze e vita. Le tre vie che Papa Francesco ha indicato in occasione dei 50 anni dalla fondazione della Caritas, per il prosieguo virtuoso della missione: partire dagli ultimi, custodire lo stile del Vangelo, sviluppare la creatività. E’ intervenuto, poi, Ignazio Punzi, formatore, psicologo e psicoterapeuta familiare. Parlando dell’ospitalità, quale cifra fondante dell’essere umano, in principio ospite del grembo materno, dell’incontro con il povero, del guardarlo negli occhi e toccargli le mani (citando il Papa), dell’incontro con l’altro all’insegna de “la tua vita non mi è indifferente”. Punzi ha esortato alla fecondità, nel senso morale e sociale del termine, alla generatività di connessioni sociali e buone pratiche. Citando la Genesi (Dio che si fa carne nel prossimo) e poi l’Apocalisse (Ap 3,20 ‘Ecco, Io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me’); la voce di Dio è nelle domande che ci porta il prossimo nostro, le nostre risposte devono arrivare da gesti di nuova fraternità. Citando Etty Hillesum, scrittrice olandese morta nei campi di sterminio, (‘Dio, non sono io a essere nelle tue mani, sei tu che sei nelle mie’), Punzi ha riportato alla responsabilità, a Dio che agisce attraverso di noi, al nostro stesso bisogno di relazionarci con le persone più svantaggiate, bisogno connesso alla nostra fragilità, al senso di filialità che contraddistingue l’uomo. Alla povertà come luogo teologico e non categoria sociale, per non cadere nel tranello di dover scegliere chi è il povero, chi è il prossimo, come provarono a fare con Gesù che sovvertì il concetto (domandati chi sei tu per il tuo prossimo). Don Marco Pagniello, direttore della Caritas italiana, ha ripreso subito il concetto di come Dio, fattosi carne, abiti l’umano e di come la Caritas debba abitare l’umanità. Proseguendo sul fil rouge, la Caritas rappresenta germogli di vita nuova, e don Pagniello porta la discussione su un piano, bonariamente provocatorio, più pratico sottolineando che è necessario “atterrare” sul concetto della realtà, superiore all’idea. La realtà dell’accoglienza, dell’ascolto degli svantaggiati ma anche l’ascolto di noi stessi, in una fase di nuova progettualità. Necessitiamo, però, di rileggere quello che è già stato fatto, se parla di Vangelo (seconda via), prima di affrontare nuove sfide. Don Pagniello si concentra poi sugli ultimi, identificandoli soprattutto negli adolescenti, come nuovi “poveri”, vittime spesso della solitudine (anche post covid), dell’economia e della amministrazione a volte disattenta della res publica. Citando poi Papa Francesco (24 settembre 2022) che esorta a non farci complici di un’economia che uccide, alla sinergia con le amministrazioni per la rimozione delle cause di povertà, oltre che al solo assistenzialismo. Sempre il Papa parla di cammini nuovi, con i poveri al centro del cambiamento, come nuove risorse in un processo di ascolto anche al territorio e alle comunità. Con l’ausilio di alcune slide don Pagniello ripercorre temi già toccati in precedenza, nell’individuazione delle priorità di intervento (advocacy) con la persona al centro e prima ancora nell’occuparsi della comunità cristiana, chiamata poi ad intervenire. Le sfide sono a nuove ingiustizie e nuove fragilità, nella mancanza di condivisione, in quelli che definisce nei suoi interventi “pavimenti appiccicosi”. Nei rischi del presente e del futuro, nelle disuguaglianze, nella paura degli adolescenti sul futuro, nel lavoro povero e frammentato. Bisogna affidarsi a una carità generativa che, di fronte all’impotenza dell’ordine mondiale, consegna alle istanze locali il compito di fare la differenza. Serve un nuovo approccio allo sviluppo della comunità, alla progettazione sociale e alla tutela dei diritti, alla cura e alla creatività (terza via), fatta di co-creazione e co-progettazione. Don Pagniello ha concluso ispirandosi alle parole del Papa, che ci dice esistano due tipi di povertà, quella che uccide ma anche quella che libera, rappresentata dalla necessità dell’altro. I saluti finali affidati a s.e. monsignor Salvatore Ligorio, arcivescovo metropolita di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo. Riprendendo subito le parole di Punzi, nella domanda “dov’è mio fratello?”, nel riconoscimento del prossimo come forza vitale, si dice preoccupato per il dilagare dell’individualismo, la forma più grave di povertà. In una riflessione sul discernimento dei tempi, invita a riflettere sulla moderna solitudine di sé, nella coppia, nella famiglia, oltre che nella comunità. La Caritas deve agire nell’applicazione delle proprie priorità (di aiuto, di ascolto, di integrazione) con spirito di servizio, non di supplenza per le istituzioni. Ritorna il concetto di via, la Provvidenza è la strada e il vescovo lo si troverà non avanti o defilato indietro, ma sempre nel mezzo di questo cammino.