A seguito di articolate indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Potenza e condotte dalla Squadra Mobile della Questura di Matera, dal Commissariato di P.S. di Policoro e dalla Direzione Investigativa Antimafia – Dipartimento della P.S. – Sezione Operativa di Potenza, è stata data esecuzione alla ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Potenza che ha disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo di 39 anni residente a Scanzano Jonico.
I reati ipotizzati nei suoi confronti sono quelli di incendio doloso e danneggiamento seguito da incendio, tentata estorsione, violenza a pubblico ufficiale aggravati dall’uso del c.d. “metodo mafioso”, dall’aver agito per motivi abbietti o futili, dall’aver approfittato di circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, dall’aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità alle persone offese.
Gli accertamenti compiuti sono nella fase delle indagini preliminari, che necessita della successiva verifica processuale nel contraddittorio con la difesa dell’indagato.
I reati contestati riguardano 5 episodi incendiari avvenuti nel mese di maggio del 2022 a Scanzano Jonico in un lasso di tempo piuttosto ridotto, che avevano suscitato vasto allarme sociale: due dei dieci stabilimenti balneari presenti nella citata località marittima (nel caso di uno stabilimento gli incendi sono stati due, uno iniziale e uno per distruggere definitivamente lo stabilimento, posto in essere dopo pochi giorni dal primo) oltre che le proprietà di un ufficiale di p.g. impegnato nelle indagini antimafia in quel contesto territoriale, e un opificio della stessa famiglia dell’indagato.
Le indagini hanno consentito di accertare, a livello di gravità indiziaria, che l’indagato sarebbe stato l’organizzatore e in alcuni casi anche l’esecutore materiale degli incendi sopra indicati, in concorso con complici al momento rimasti ignoti.
Le attività di indagine, poste in essere immediatamente dopo i fatti, si sostanziavano nell’analisi di immagini di telecamere poste nelle vicinanze dei luoghi interessati dagli eventi, in acquisizioni documentali, in dichiarazioni di persone informate sui fatti, nell’analisi dei tracciati GPS di autovetture di persone a vario titolo coinvolte nella vicenda, dall’analisi delle risultanze dei tabulati di traffico telefonico, in intercettazioni che si sono rivelate di fondamentale importanza.
Il quadro indiziario raccolto – fatta salva la verifica dibattimentale – ha portato a ritenere, a livello di gravità indiziaria, che l’indagato abbia realizzato gli incendi dei due stabilimenti balneari per ritorsione nei confronti dei loro custodi da cui pretendeva somme di denaro, con modalità tipicamente mafiosa, consistita nell’incendio degli stabilimenti balneari.
Nei confronti del poliziotto in servizio presso il Commissariato di P.S. di Policoro che ha subito il danneggiamento del proprio deposito agricolo, l’indagato mostrava un particolare astio, legato sia alla sua attività d’indagine, sia al fatto che il dipendente (insieme ad altro personale del Commissariato di Policoro) lo aveva arrestato in flagranza in passato per altri reati.
L’incendio dell’opificio di famiglia – sempre sulla base degli indizi raccolti – sarebbe stato realizzato sia per depistare le indagini che già all’epoca erano indirizzate nei confronti del soggetto in modo da presentarsi come l’ultima vittima della scia di incendi che si erano verificati in Scanzano Jonico in quei giorni, sia per persuadere i familiari e versargli somme di denaro. Sotto il profilo della sua personalità – e quindi della pericolosità dell’indagato sottoposta al vaglio del Gip – deve poi essere evidenziato che dalle indagini (durante l’attività di intercettazione) è emerso che in altre circostanze, volontariamente, l’indagato danneggiava autovetture a lui intestate e, in un caso, il cancello automatico del suo opificio.
Le modalità eclatanti delle attività delittuose, sulla base delle investigazioni svolte, dunque, non risultavano casuali, ma finalizzate a intimidire in modo rilevante le vittime, utilizzandosi così un metodo che la Procura Distrettuale della Repubblica – con tesi accolta dal Gip – ha qualificato di tipo mafioso.