Il Consigliere comunale di minoranza del Comune di Ruoti Angelo Faraone è stato condannato dal Consiglio di Stato a rifondere al Comune le spese del doppio grado di giudizio, di € 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

Nel mese di aprile 2020 Faraone aveva fatto richiesta al Comune Di Ruoti di conoscere i nominativi di tutti coloro che avevano ricevuto il bonus alimentare covid -19 e di quelli che erano stati esclusi. I benefici del bonus alimentare erano stati previsti dall’ordinanza del Capo della Protezione civile- Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Bonus Covid della Regione Basilicata. I buoni alimentari sono stati assegnati, nel mese di marzo, alle persone in sofferenza economica dovuta alla pandemia, seguendo i criteri predisposti nell’avviso pubblico emanato dal medesimo Comune. Dopo di che’, il consigliere Faraone Angelo, con fare arrogante e tracotante, si recava in comune aggredendo verbalmente e sminuendone l’operato del responsabile dell’area amministrativa, pretendendo le copie degli atti di tutte le istanze pervenute al Comune, per conoscerne i nominativi, dei beneficiari e non, del bonus alimentare, rivendicando il diritto di essere consigliere.

Angelo Faraone, non solo si mostrava disinteressato del carico di lavoro che invece l’ufficio amministrativo stava portando avanti con grande solerzia in piena emergenza pandemica, ma addirittura insinuava tra la popolazione il dubbio circa la corretta distribuzione dei buoni alimentari da parte dell’Ufficio competente, approfittando della già difficile “precarietà sociale” dell’emergenza in atto. Il responsabile amministrativo Tonino Donnaianna con competenza aveva sottolineato a Faraone ciò che successivamente il Consiglio di Stato ha sentenziato, cioè che non è «sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare». Donnaianna, nonostante il carico di lavoro del momento, provvedeva a fornire al consigliere un quadro analitico delle istanze, omettendo giustamente i nominativi, ma ponendo Faraone nelle condizioni di accertare se la gestione delle provvidenze economiche fossero state legittime ed efficaci.

L’Ente aveva, altresì, interessato la sua responsabile della protezione dei dati, AVV. Maria Teresa Fiore, che con tempestività e grande competenza, come rivelatasi dalla sentenza, ritenne di concedere l’accesso all’attività svolta, ma non anche ai dati anagrafici delle persone coinvolte nel procedimento. Ella motivò che i dati, per le circostanze in cui venivano trattati, erano idonei a rivelare una particolare situazione di vulnerabilità delle persone fisiche che chiedevano di accedere al beneficio, la cui divulgazione avrebbe prodotto effetti discriminatori sugli stessi. Ciò anche considerando che l’informazione anagrafica non appariva coerente con l’esercizio del mandato elettivo. Pertanto, questa soluzione avrebbe garantito un bilanciamento tra diritto di accesso dei consiglieri e il diritto alla riservatezza delle persone fisiche.

Il Comune, non discostandosi dal parere, consegnò tutte le informazioni utili delle persone che avevano ricevuto i buoni censurando i nomi. L’elenco fornito al consigliere comunale riportava l’ordine cronologico delle istanze ricevute dal Comune con i relativi numeri di protocollo, i presupposti di reddito su cui le domande bonus covid erano state decise, il relativo esito e l’importo riconosciuto.

Il consigliere impugnava pertanto davanti al TAR per la Basilicata il diniego oppostogli dall’amministrazione comunale. Come ha evidenziato in modo puntuale, chiaro e incontrovertibile l’avvocato dell’amministrazione locale appellante, Salvatore De Bonis, Il TAR nella sentenza non solo è stato carente nella motivazione, ma presentava nel PQM un inusuale “copia e incolla” che il tribunale avrebbe fatto da un precedente verdetto sempre in materia di un accesso agli atti di un ricorso precedente di Faraone. In effetti nella sentenza il Tar ordinava al Comune di mostrate gli atti a Faraone datati gennaio 2020, quando la pandemia non era ancora in atto.

Si evidenzia una incapacità di lettura della sentenza da parte del consigliere Angelo Faraone, che ha continuato a denigrare l’operato dell’Ente e a disinformare la popolazione.
La richiesta del consigliere di voler sapere i nomi nel dettaglio non ha dimostrato secondo il Consiglio di Stato “l’utilità concreta e aggiuntiva per l’esercizio del suo mandato, rispetto ai dati consegnati allo stesso con gli omissis”.

Si ricorda inoltre che al Comune non è mai pervenuta una richiesta di alcun cittadino giuridicamente interessato relativamente all’inclusione o esclusione dal beneficio.
Il consigliere richiedeva i nominativi perché aveva sentito, a suo dire, voci in giro. Visto che Faraone non ha dimostrato, quindi, quale utilità concreta ed aggiuntiva, rispetto ai dati acquisiti dal comune, avrebbe avuto la sua conoscenza dei nominativi dei soggetti richiedenti per l’esercizio del suo mandato, non possiamo che dedurre che forse i nominativi dei beneficiari del bonus spesa gli servivano proprio per alimentare un chiacchiericcio puramente da bar, utilizzando ancora una volta strumentalmente il diritto di accesso di un consigliere comunale.

Il Sindaco Anna Maria Scalise è ampiamente soddisfatta per la sentenza del Consiglio di Stato circa la richiesta di accesso agli atti avanzata da parte del consigliere comunale Angelo Faraone, risultata del tutto strumentale sin dall’inizio. Il consigliere ha avanzato un diritto “tiranno”, come lo ha definito il CDS, nei confronti delle persone giuridicamente protette. Una sentenza che va nella direzione della tutela e della difesa della dignità delle persone colpite maggiormente in questa pandemia.